Omoiyari: questo concetto
si esprime marzialmente con il lavoro dellʼUke. Tra Tori e Uke,
Kirikomi e Ukedachi oppure Shidachi e Uchidachi
intercorre una
relazione nella pratica tale per cui mentre una parte (Tori, Kirikomi
e Shidachi) è dedita alla comprensione e
allʼapprendimento,
lʼaltra (Uke, Ukedachi, e Uchidachi) dà il senso
dellʼazione
accettando il lavoro che viene eseguito dal compagno.
Quindi
Omoiyari è rispetto, che diventa reciproco, nellʼesecuzione
delle
tecniche, senza volontà di prevaricare
o fare violenza sullʼaltro.
Va altresì aggiunto, che
solo questo
atteggiamento permette a chi sta imparando
di poter
crescere senza inibizioni o paure. Il
lavoro dellʼUke non deve
essere oppositivo
o in
competizione,
ma deve lasciare
che Tori
svolga al meglio il suo compito in
tutta tranquillità.
Solo il Maestro può
creare delle
condizioni di nuove difficoltà, calibrate alla
preparazione dellʼallievo che apprende e
quindi anche
potenzialmente superabili e comprensibili.
Un allievo, seppur bravo,
che si pone e si atteggia come “maestrino
in seconda” è e viene
ritenuto un arrogante. Quindi, può essere
causa di squilibri
allʼinterno del gruppo di allievi, creando fazioni e correnti che si
allontanano, portando sofferenza al Dojo. Questa
situazione,
facilmente riscontrabile nella nostra società, è il contrario
di
Omoiyari e cioè egoismo, arrivismo, egocentrismo.
Nessun commento:
Posta un commento