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venerdì 6 settembre 2013

Omoiyari

Omoiyari: questo concetto si esprime marzialmente con il lavoro dellʼUke. Tra Tori e Uke, Kirikomi e Ukedachi oppure Shidachi e Uchidachi intercorre una relazione nella pratica tale per cui mentre una parte (Tori, Kirikomi e Shidachi) è dedita alla comprensione e allʼapprendimento, lʼaltra (Uke, Ukedachi, e Uchidachi) dà il senso dellʼazione accettando il lavoro che viene eseguito dal compagno. Quindi Omoiyari è rispetto, che diventa reciproco, nellʼesecuzione delle tecniche, senza volontà di prevaricare o fare violenza sullʼaltro.

Va altresì aggiunto, che solo questo atteggiamento permette a chi sta imparando di poter crescere senza inibizioni o paure. Il lavoro dellʼUke non deve essere oppositivo o in competizione, ma deve lasciare che Tori svolga al meglio il suo compito in tutta tranquillità.

Solo il Maestro può creare delle condizioni di nuove difficoltà, calibrate alla preparazione dellʼallievo che apprende e quindi anche potenzialmente superabili e comprensibili.


Un allievo, seppur bravo, che si pone e si atteggia come “maestrino in seconda” è e viene ritenuto un arrogante. Quindi, può essere causa di squilibri allʼinterno del gruppo di allievi, creando fazioni e correnti che si allontanano, portando sofferenza al Dojo. Questa situazione, facilmente riscontrabile nella nostra società, è il contrario di Omoiyari e cioè egoismo, arrivismo, egocentrismo.  

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